Blog del Progetto PON "Forme di Scrittura" del Liceo Classico e Scientifico di Canicattì

Walt Whitman

Walt Whitman

(Long Island, New York 1819 – Camden, New Jersey 1892), poeta statunitense, il maggiore del XIX secolo. Ruppe con la tradizione poetica precedente, esercitando un influsso determinante sul pensiero e la letteratura americani, in particolare sull’opera d’autori come Hart Crane, William Carlos Williams, Wallace Stevens e Allen Ginsberg. Nato da una famiglia numerosa di condizioni modeste, Whitman lasciò la scuola ad undici anni e lavorò prima come apprendista tipografo e poi, dopo aver studiato da autodidatta, come insegnante e direttore di giornale. Nel 1839 si trasferì a New York, dove esordì come autore con componimenti e racconti di scarsa originalità, scritti per riviste popolari. Per due anni diresse il “Brooklyn Eagle”, organo dei democratici di New York, che poi dovette lasciare per la sua adesione al Free-Soil Party. Dopo essersi guadagnato da vivere per anni con le più svariate occupazioni, si concentrò esclusivamente sull’attività letteraria. Durante la guerra di Secessione, Whitman fu infermiere negli ospedali militari di Washington, città dove, ottenuto un impiego governativo, rimase fino al 1873, quando un attacco di paralisi lo costrinse a trasferirsi col fratello a Camden. Intanto, nel 1871, erano uscite le Prospettive democratiche, oggi considerato un classico della scienza politica. Giorni rappresentativi e altre prose (1882-83) contiene ricordi e descrizioni degli anni della guerra e dell’assassinio di Abraham Lincoln, oltre ad appunti sulla natura, scritti in età più avanzata.

 Le opere

Whitman è noto soprattutto per un’unica, ampia raccolta di poesie. La prima delle numerose edizioni di Foglie d’erba uscì nel 1855; per il contenuto scandaloso, che celebrava il corpo e glorificava i sensi, l’autore dovette pubblicarla a sue spese. Si trattava di dodici poesie, ciascuna intitolata Leaves of Grass e tutte composte di innovativi versi lunghi, cadenzati e non rimati. In una lunga prefazione l’autore, del quale sul frontespizio non compariva il nome ma un ritratto, annunciava una nuova letteratura democratica, scritta da un poeta di stampo nuovo. Il componimento più lungo è quello che poi si sarebbe intitolato Canto di me stesso, visione di un io poetico che, rapito dai sensi, idealmente abbraccia tutti e ogni luogo dall’Atlantico al Pacifico. Incoraggiato dagli elogi dell’eminente filosofo e poeta Ralph Waldo Emerson, Whitman elaborò velocemente una seconda edizione di Foglie d’erba (1856), con aggiunte e revisioni. Nella terza (1860), la poesia assunse una struttura più allegorica. Rulli di tamburo (1865), inserita nell’edizione del 1867, riflette la consapevolezza maturata da Whitman sul significato della guerra di Secessione e la speranza di una riconciliazione tra Nord e Sud. Questa stessa edizione conteneva inoltre la grande elegia per la morte di Abraham Lincoln e il suo componimento più famoso, O capitano! Mio capitano!. La versione finale della raccolta poetica è del 1892, anno della morte di Whitman.

Foglie d’erba. Testo inglese a fronte. Ediz. integrale Newton Compton – 2010
Canto una vita immensa Ancora – 2009
Leaves of grass Giunti Demetra – 2009
Il ritorno di Wild Frank. Ediz. italiana e inglese Sinopia Onlus – 2008
Nel west e altri viaggi Mattioli 1885 – 2008
Giorni rappresentativi Garzanti Libri – 2008
Io canto me stesso Acquaviva – 2007
O capitano Mio capitano BUR Biblioteca Univ. Rizzoli – 2007
Caro amato ragazzo. Lettere d’amore a un giovane vetturino 1868-1880 Curcio – 2006
Credo in te mia anima e altre poesie Via del Vento – 2006
Foglie d’erba Einaudi – 2005
Come coccole di cedro Donzelli – 2004
Capitano mio capitano Araba Fenice – 2004
Come coccole di cedro. La prima narrativa di Walt Whitman Università La Sapienza – 2002
Foglie d’erba. 1855 Marsilio – 2002
Calamus. Poesie da uomo a uomo Castelvecchi – 2000
Visioni democratiche Liberal Libri – 1996
Foglie d’erba. Testo inglese a fronte Feltrinelli – 2010
Song of myself Einaudi – 2007
La parola del corpo Nuovi Equilibri – 2000
Foglie d’erba. Io canto il corpo elettrico Giunti Demetra – 1998
Oh capitano mio capitano Mondadori – 1996

Robin Williams recita Walt Whitman nel film “L’attimo fuggente”


Videogallery delle opere di Antonello da Messina

L’ANNUNZIATA DI ANTONELLO DA MESSINA

La Vergine è colta nel momento in cui l’angelo se n’è appena andato (oppure nel momento dell’interrogazione). Dalla sagoma, quasi piramidale, del manto emerge il perfetto ovale del volto e l’asse della composizione è dato dalla verticale che va dalla piega dello scollo all’angolo leggio, ove vengono narrate le profezie che le stanno accadendo; al contrario il lento girare della figura e il gesto della mano, probabilmente posta in segno di benedizione, ma anche di sconvolgimento, danno movimento alla composizione.

La posa è di tre quarti, lo sfondo scuro e la rappresentazione essenziale derivano dai modelli fiamminghi, in particolare Petrus Christus che forse Antonello conobbe direttamente in Italia. La luce è radente ed illumina l’effigie come se si affacciasse da una nicchia, facendo emergere gradualmente i lineamenti e le sensazioni del personaggio. L’uso dei colori ad olio permette poi un’acuta definizione della luce, con morbidissimi passaggi tonali, che riescono a restituire la diversa consistenza dei materiali. A differenza delle opere fiamminghe però, Antonello impostò anche una salda impostazione volumetrica della figura, con semplificazioni dello stile “epidermico” dei fiamminghi che permette di concentrarsi su altri aspetti, quali il dato fisiognomico individuale e la componente psicologica. L’opera rappresenta uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana. La purezza formale, lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta ne fanno un capolavoro assoluto. Il cuore del quadro e’ nella mano alzata, in un gesto impercettibile ma decisivo. E’ un gesto pieno di apprensione. E’ un’adesione a una “possibilita’ delicatissima”. Se dovessimo cercare di descriverlo per negazioni, diremmo che e’ l’esatto opposto di un raptus. La pittura di Antonello infatti e’ una pittura calma e che agisce sempre in piena coscienza. E’ pittura alla luce del sole; e’ pittura che scantona dalle ombre, nel senso che le ombre, come quelle che cadono sul volto di Maria, sono sempre funzionali a un soprassalto di certezza. Ma la delicatezza di Antonello in questo quadro… si spinge anche oltre. Ci dice che quello che sta accadendo non ha nulla di ineluttabile; che, al contrario, e’ una cosa che accade in assoluta gratuita’ e che quindi si rende palese con assoluta discrezione. Che non s’impone, ma arriva come un suggerimento. Che non ha nessun clamore. Che suscita stupore perche’ non solo non era prevista, ma sopravanza ogni previsione e ogni possibilita’ pensata. Perche’ non era iscritta da nessuna parte e in nessun cromosoma della realta’. Per arrivare a questo punto di pudore e di equilibrio, Antonello lavora sulla dimensione tempo. I suoi quadri non si astraggono mai dal fluire del tempo, come accade al suo grande contemporaneo, Piero della Francesca, ma accettano di immergersi nel formicolio degli attimi che passano e che si consumano. Nei suoi quadri c’e’ sempre un senso della vita che scorre in completa normalita’, un senso del quotidiano mai banale: non sono parentesi aperte dentro il tempo, ma punti di tempo dentro lo scorrere del tempo. La dolcezza della sua pittura si origina tutta da qui, non da una concessione al sentimentalismo, per quanto sublime, che aveva caratterizzato l’arte di un altro grande, conosciuto durante la sua breve e travolgente parentesi veneziana, Giovanni Bellini. La sua dolcezza consiste in quella sua capacita’ di sottrarsi al passato e di essere contemporaneo a noi. Di toccare ancora oggi il cuore, suggerendo la possibilita’ di una felicita’ piu’ grande.

Rubè di G.A. Borgese

TRAMA

Il protagonista è Filippo Rubè, un giovane non ancora trentenne che arriva a Roma dalla provincia siciliana per fare pratica d’avvocato presso uno studio legale. Filippo era dotato di tutte le doti per riuscire nella carriera forense, tipiche di un giovane meridionale e possedeva “una logica da spaccare il capello in quattro, un fuoco oratorio che consumava l’argomentazione avversaria fino all’osso e una certa fiducia d’essere capace di grandi cose“. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Rubè si fa trascinare dalla propaganda interventista dei marinettiani e si convince ad arruolarsi come volontario nel reggimento di artiglieria guidato dal maggiore Berti. Conosce Eugenia, la figlia del maggiore Berti, giovane di una bellezza “lineare come una vergine preraffaellita conciliatrice del sonno e della morte“. L’impatto con la guerra risulta però traumatica per il giovane Filippo che, sconvolto da un breve bombardamento, cade in un forte stato di depressione. Nel frattempo Eugenia aveva raggiunto il padre al fronte come infermiera e Rubè le confida il suo stato e i suoi tormenti. Tra i due giovani inizia una relazione. Il giovane, acausa della depressione di cui soffriva, ottiene un permesso per un mese di convalescenza che trascorre a Calinni, suo paese natale. Trascorso il mese di convalescenza, Filippo ritorna al fronte e, durante uno scontro sugli Altipiani, viene ferito a un polmone. Trascorre una lunga degenza ad Udine e in seguito ritorna a Roma dove ritrova Eugenia che convince a diventare la sua amante. Iniziano un rapporto fatto di attrazione e repulsione, segnato dalla “cupidigia” di Filippo e dell'”inespresso rancore” di Eugenia costretta a squallidi incontri clandestini. Nel frattempo Rubè accetta di recarsi a Parigi in missione, dove conosce Celestina Lambert, la moglie di un generale, che ascolta con comprensione la confessione delle contraddizioni e delle angosce di Filippo ma ne rifiuta le avances. Alla fine della guerra Filippo si trasferisce a Milano, trova un impiego presso un’industria metallurgica e sposa Eugenia. Ma il matrimonio non serve a riavvicinare i due giovani che rimangono completamente incapaci di comprendersi affettivamente. A causa della crisi economica Rubè viene licenziato. Nello stesso tempo riceve dalla moglie la notizia della sua gravidanza e ciò lo fa cadere in una disperata angoscia. A Milano intanto Filippo ritrova un ufficiale conosciuto al fronte, Garlandi, che indossa la camicia nera e si lascia convincere a partecipare ad un’adunanza fascista. Dopo l’adunanza l’amico lo trascina in una bisca, dove Rubè vince una forte somma alla roulette con la quale pensa di concedersi una vacanza a Parigi. Nel viaggio verso Parigi, Filippo fa una sosta a Stresa e ritrova Celestina Lambert che è all’ Isola Bella in villeggiatura. Tra i due esplode una forte passione, ma durante una gita sul lago, a causa di un temporale, la barca si rovescia e Celestina annega.
Filippo viene accusato di omicidio, viene prosciolto in istruttoria ma è smarrito. Ritorna al suo paese ma la notizia della vicenda in cui è incorso si è ormai sparsa, così il giovane riparte senza aver rivisto la madre. Decide di ritornare da Eugenia e le spedisce un telegramma dandole appuntamento alla stazione di Bologna, ma non si incontrano. Così Rubè si mette a gironzolare per Bologna e incappa in una manifestazione socialista. Cercando di sfuggire alla calca della folla raggiunge la testa del corteo ma viene travolto dalla carica di cavalleria della polizia. Lo portano all’ospedale dove muore tra le braccia di Eugenia e la sua memoria verrà rivendicata sia dai socialisti che dai fascisti. I primi lo ricordano come un martire della causa, i secondi per il passato di “glorioso combattente”.

Biografia di G.A. Borgese

Durante l’anno accademico, su pressione del padre che lo voleva avvocato, si iscrive alla facoltà di Legge a Palermo, ma già nel 1900 si trasferisce a Firenze dove, presso l’Istituto di Studi Superiori. A partire dall’anno successivo inizia la collaborazione all’«Archivio per lo studio delle tradizioni popolari» di Pitrè e, di lì a poco, al «Regno» di Corradini e al «Leonardo» di Papini. Tra il 1907 e il 1908, Borgese, in qualità di corrispondente de Il Mattino di Napoli, di cui era caporedattore e poi de La Stampa di Torino, compì un soggiorno di due anni in Germania, – dove conobbe tra l’altro Hauptmann e la musica tedesca -, che gli permise di scrivere articoli e saggi per una cultura italiana allora poco aperta all’esterno. Da questa esperienza nacque il volume La nuova Germania (Milano, 1909), che raccoglieva le corrispondenze pubblicate sui due quotidiani; sempre nel 1909, dette alle stampe, a Napoli, il saggio Gabriele D’Annunzio. Ancora in questo anno, capitò per caso a Messina, proprio il giorno successivo al terremoto di cui diede annuncio per primo tramite un articolo per «Il Mattino» di Napoli. Sono questi gli anni in cui Borgese viene affermandosi come il punto di riferimento forse più significativo, in Italia, per la “critica militante”. Nel 1912 iniziò la collaborazione al Corriere della sera che, con incarichi e forme collaborative diverse, avrebbe mantenuto fino alla morte. Sono questi però anche gli anni in cui si consuma l’irrimediabile rottura con Benedetto Croce. In questo arco di tempo, si collocano due fra i più rappresentativi contributi saggistici di Borgese: le tre serie di La Vita e il Libro (Milano, 1910, 1911, 1913) e Studi di letterature moderne (Milano, 1915), oltre alle due riviste da lui fondate: «La Nuova Cultura» e «Il Conciliatore». La sua intensa attività intellettuale ebbe modo di concentrarsi anche sul primo conflitto mondiale, cui Borgese andò incontro da acceso interventista: Italia e Germania (Milano, 1915); Guerra di redenzione (Milano, 1915); La guerra delle idee (Milano, 1916); L’Italia e la nuova alleanza (Milano, 1917). Durante la guerra, svolse anche delicate e complesse missioni diplomatiche. Nel 1918, a Roma, Borgese ideò il “Congresso delle nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria”, che venne a costituire, di fatto, una diversa piattaforma per le trattative di pace anche in relazione alla nascita di un futuro stato jugoslavo. Le vicende inerenti questa esplicita fase politica sarebbero poi risultate determinanti per la successiva scelta antifascista e tutte le conseguenze che ne derivarono. All’inizio degli anni Venti, a causa della strenua difesa degli ideali etico-politici che Borgese aveva sempre propugnato venne estromesso dall’ambito della progettualità editoriale del quotidiano milanese, relativamente all’impostazione di questo in politica estera. Confermato nell’insegnamento accademico alla cattedra di estetica e storia della critica, appositamente per lui creata presso l’Università di Milano, si defilò progressivamente dalla vita politica, amareggiato e deluso dalla situazione complessiva che si era venuta a creare, dedicandosi sempre più a un’intima riflessione morale e artistica sulle vicende storico-politiche. Il frutto più immediato di questo periodo, marcatamente introspettivo, fu il romanzo Rubè (Milano, 1921), destinato poi a diventare uno dei contributi più significativi nella storia della narrativa italiana contemporanea, cui fecero seguito le Poesie (Milano, 1922) e un altro romanzo I vivi e i morti (Milano, 1923). La produzione artistica di Borgese si arricchì di numerosi altri titoli, fra romanzi, racconti, drammi teatrali, prose di viaggio. Il 1931 costituisce il punto di svolta della vita di Borgese. Nel luglio di questo anno, a 48 anni, si imbarca alla volta degli Stati Uniti.. Quello che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto essere solo un soggiorno accademico si trasformò invece in un volontario esilio, durato fino a guerra conclusa, per il rifiuto opposto all’ingiunzione di prestare il giuramento fascista, in qualità di docente universitario. Nel 1938 ottiene la cittadinanza americana . Nel 1948 rientrò per un breve periodo in Italia e il 13 settembre 1949, dopo 18 anni di assenza, risalì sulla sua vecchia cattedra di estetica all’Università di Milano. Morì improvvisamente a Fiesole, dove si era stabilito. Il Senato della Repubblica, nella seduta del 5 dicembre, ne ricorderà la persona e l’opera. In una lapide apposta nel centenario della nascita nel Comune di Polizzi, è scolpito: A GIUSEPPE ANTONIO BORGESE – POETA, NARRATORE, CRITICO E POLITICO CHE VOLLE L’UNITA’ DELL’ARTE E DEL MONDO. Nel (2002) nasce la Fondazione “G.A. Borgese” a lui dedicata opera per realizzare una più ampia conoscenza, promozione, valorizzazione e diffusione della sua opera artistica, letteraria, critica, giornalistica e politica.

CENERENTOLA: DIFFERENZE TRA LA VERSIONE DI PERRAULT  E  QUELLA DEI FRATELLI GRIMM.

PERRAULT:

  1. linguaggio complesso.
  2. Descrive la matrigna di cenerentola superba. la madre di Cenerentola era la donna più bella del mondo.
  3. Le sorellastre sono brutte.
  4. Le scarpe sono di cristallo.
  5. Il principe è astuto infatti per non fare scappare Cenerentola mette la pece sulle scale.
  6. L’aiuto arriva dalla comare cioè la fata.
  7. le sorellastre vengono perdonate e portate da Cenerentola al palazzo.
  8. il racconto non si sofferma nei dettagli ma racconta sommariamente alcune vicende e dialoghi non indispensabili al fine di comprendere la favola.
  9. il ballo si svolge in due sere.
  10. il principe sposa subito Cenerentola.
  11. Cenerentola porta alla comare una zucca,topolini,un grande topo,e sei lucertole.
  12. Cenerentola non chiede di poter andare al ballo.
  13. la sorella maggiore chiamava Cenerentola “Cucciolona”. E la piccola “Cenerentola”.
  14. Cenerentola scappava perché aveva l’obbligo di tornare a casa prima di mezzanotte.
  15. Non pensano che la bella principessa potesse essere cenerentola

FRATELLI GRIMM:

  1. Linguaggio semplice
  2. La matrigna è cattiva. La madre è molto buona e viene ricordata più volte nella storia.
  3. Le sorellastre sono belle ma brutte di cuore, e trattano male
  4. Le scarpe variano di serata in serata, dalla seta,all’argento, all’oro.
  5. Il principe è ingenuo, infatti sono gli uccelli che gli fanno scoprire l’inganno delle sorellastre.
  6. l’aiuto arriva da un albero cresciuto vicino la tomba della madre e da un uccello che la rappresenta.
  7. le sorellastre vengono punite e vengono accecate dagli uccellini.
  8. il racconto si sofferma nelle descrizioni dei dialoghi e degli avvenimenti.
  9. il ballo si svolge in tre sere.
  10. il principe prima di sposare Cenerentola porta le sorelle per sbaglio sulla carrozza.
  11. Cenerentola chiede all’albero vestiti e scarpe e le viene subito dato.
  12. Cenerentola chiede di andare al ballo alla matrigna che le impone dei lavori inutili pur di non farla andare al ballo.
  13. La ragazza viene chiamata solo Cenerentola.
  14. Cenerentola scappa solo per poter tornare a casa e non farsi vedere da nessuno.
  15. Il padre suppone che la bellissima principessa possa essere Cenerentola ma inizialmente non trova conferma.

Scena del ballo da “Cenerentola” di Walt Disney